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Col suicidio mi sciolgo il ripeccare, e riduco la corrente peccaminosa impiegata; sciolgo peccato e ripeccare. Sono
effetti della mia libera morte. Uccidendomi così non faccio
azione annientatrice del peccato e del ripeccare. Faccio
azione assolutrice. Sciolgo la morte dell’amore nel ripeccare
e nella corrente peccaminosa del peccato. Io quindi assolvo
i miei peccati. Li assolvo così. Fanno unità col diventato.


Abbiamo conosciuto la nuova fionda. È l’unico mezzo con il quale io posso sfrattare un gigante, rimuoverlo e
licenziarlo: il gigante dell’industria infernale: Satana.
Grazie alla mia coscienza Figliale visuata. La mia razionalità
coscienziata al Figliale coglie subito l’insorgere del
mio ripeccare; estraggo prontamente la mia fionda dalla
bisaccia della mia coscienza visuata, e vibro il colpo fatale:
mi colpisco a morte: mi dico di no al ripeccare.
Dalla mia libera morte attiva che cosa mai ne uscirà fuori?
Siamo ad esaminare gli effetti della libera morte. Che cosa
ottengo uccidendomi?
a) Azione annientatrice? Siamo abituati a descrivere
l’azione contro il peccato con dei verbi che ora non
bastano più ad indicarla. Diciamo infatti di uccidere
il peccato, di cancellarlo, di eliminarlo, di distruggerlo,
di annientarlo. Tutto questo, però, suppone
odio al peccato: è proprio dell’odio fare azione di
morte, uccidere. Per individuare il contenuto della
mia operazione devo tenere d’occhio la sostanza del
mio ripeccare. Il peccato ormai ci si è imposto nel
suo nuovo contenuto pneumatico. Non è ribellione,
non è disobbedienza, né rifiuto o rigetto, nemmeno
abbandono o fuga da Dio. Il peccato è morte. Ma
non morte come in un cadavere umano; è morte
viva, questa. La fa vivere infatti uno Spirito che non
muore alla maniera di un corpo vivente. È la morte
viva dello spirito di amore del Padre, agentato dal
suo Agente della morte. Col mio suicidio, io sciolgo
la morte dell’amore. Proprio perché è morte viva,
non è possibile ucciderlo, eliminarlo, annientarlo.
Non è possibile; ma se anche lo fosse, io non riuscirei
a colpire a morte la morte viva: non ne avrei il
coraggio, per quella immensa pietà che il Padre mi
ha suggerito e mi ha elargito verso la sua agonia di
amore. Mi muore amandomi, perché liberamente si
lascia uccidere da me. Io non uccido quindi né il
peccato, né il ripeccare.
b) Azione assolvitrice? La morte dell’amore è un condensato
di morte (coagulo) in una sostanza divina
vivente. Quel condensato lo si deve sciogliere.
Sciogliere è: assolvere: è assoluzione.
1) Io sciolgo la morte dell’amore che scorre nel mio
ripeccare. Lo ottengo prontamente, infallibilmente,
dicendomi di no al mio ripeccare, colpendomi a
morte. Non prendo ciò che mi piace, non uccido ciò
che non mi piace. Suicidio: con la mia libera morte
sciolgo la libera morte del Padre in azione. Sciolta la
morte in azione, il mio ripeccare non è più.
2) Il mio ripeccare però non è altro che il peccato in
azione, quel peccato che mi si è fatto su con la persona
che diventa, componendo quella coscienza Paterna
sostanziata che razionalmente va in azione successiva.
In azione però non va tutto il mio peccato, ma successivamente
vanno in azione le sottocorrenti.
La corrente matrice è una sola: l’amore di odio che in
azione si sdoppia in corrente di amore per me e in corrente
di odio. Ognuna si compone di sottocorrenti, le quali
vanno in azione ora congiuntamente ora separatamente.
La corrente peccaminosa o le correnti che agiscono nel
ripeccare vengono raggiunte dal mio suicidio, producendo
il secondo meraviglioso effetto: mi sciolgo la corrente
peccaminosa impegnata nel ripeccare. Ripeccare e corrente
peccaminosa fanno un tutt’uno.
È la corrente che si fa gigante nel ripeccare. Con un solo
colpo micidiale, mi tolgo il ripeccare e riduco la corrente
peccaminosa. Io quindi, così, assolvo i miei peccati.
Questa nostra affermazione (contraria alla coscienza
fideata) va ad urtare con il nostro tradizionale pensiero e
lo mette in crisi.

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